visite guidate di Roma per privati e gruppi
Siamo nel 1498, quando il Cardinale Jaen Bilhéres de Lagraulas di Francia, arrivato in Italia con la corte di Carlo VIII, re di Francia, incarica Michelangelo, giovane e talentuoso artista fiorentino, di scolpire un gruppo marmoreo. Nel contratto si legge che il lavoro avrebbe avuto la durata di un anno, per un costo totale di quattrocentocinquanta ducati d’oro.
Il Cardinale, ossessionato dalla sete di “grandezza”, desiderava farsi realizzare un monumento funebre di grande prestigio. Il progetto prevedeva, in particolare, che il gruppo scultoreo sarebbe stato collocato in una cappella dei re di Francia, precisamente adiacente al transetto della vecchia Basilica di San Pietro. Le fonti ci dicono che doveva trattarsi di un piccolo tempio, dedicato alla vergine e martire Santa Petronilla, figlia di Simon Pietro. Il giovane Michelangelo si apprestava, quindi, a realizzare un’opera di estrema importanza, che avrebbe rappresentato per il Cardinale un memoriale della propria nazione e della sua gloria.
Ad ornare la tomba sarebbe stata “una Vergine Maria vestita, con Christo morto in braccio”. Questo tema drammatico, in realtà, non era molto diffuso nell’arte fiorentina dell’epoca e Michelangelo cercò ispirazione nell’arte d’Oltralpe e, in particolare, nelle cosiddette Vesperbilder, i gruppi scultorei germanici raffiguranti la Vergine che contempla il corpo del Figlio steso sulle sue ginocchia.
Stabilito il soggetto da scolpire, occorreva a questo punto scegliere il blocco di marmo. Michelangelo si recò quindi presso la città di Carrara, alla ricerca di un marmo candido e privo di imperfezioni. L’artista ricavò le due figure da un unico blocco marmoreo, ed ecco che l’anno successivo portò a compimento la grandiosa opera. Purtroppo, il Cardinale Bilhéres non ebbe mai la soddisfazione di vedere completato il lavoro, perché morì prima della sua ultimazione, il 6 agosto 1499.
Oltrepassata la porta d’ingresso, si entra nella navata centrale della Basilica di San Pietro. Il nostro sguardo si proietta inevitabilmente verso l’alto e man mano su possenti colonne, colossali statue, decorazioni marmoree e suggestivi raggi di sole che, penetrando nella Chiesa, ne esaltano la dimensione eterea. La sensazione è così magica, perfetta e colma di stupore che porta subito a voler scoprire il grande tesoro racchiuso in questo magnifico luogo sacro.
Portandoci in direzione della navata laterale destra, si giunge alla cappella della Pietà, la quale ospita il grandissimo complesso marmoreo.
Una volta entrati nella Basilica occorre ritagliarsi un piccolo spazio, dato l’elevato numero di visitatori, per entrare in dialogo con l’opera stessa: il gruppo marmoreo, come detto, rappresenta il tema della Pietà, ovvero la Vergine Maria che tiene tra le braccia il corpo senza vita del Figlio deposto dalla croce. Notiamo subito come il marmo è condotto squisitamente fino all’ultimo grado di finitura.
L’opera desta meraviglia da qualunque punto di vista la si voglia interpretare.
Iniziamo a leggere l’opera partendo dalla figura della Vergine, soffermandoci sul suo volto. Nell’espressione di Maria si percepisce il dolore per la morte del Figlio, ma allo stesso tempo traspare grande compostezza. Nel viso risaltano i lineamenti di una giovane donna; scelta volutamente perseguita dall’artista, quasi a voler evidenziare l’assenza di peccato nella figura della Madonna. Il capo chino in segno di umiltà è un’ulteriore caratteristica che ha accompagnato la Vergine in tutta la sua vita, indicando l’accettazione dell’opera di Dio, come viene riportato dall’evangelista Luca nel versetto in cui l’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazie presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,30-31).
Ora soffermiamoci sulle braccia della Vergine Maria che sorreggono amorevolmente il corpo morto del figlio. Il palmo della mano sinistra rivolto verso l’alto è un chiaro invito, a chi guarda, a provare per Gesù lo stesso dolore, morto per amore, per liberare l’umanità dal giogo del peccato e della schiavitù.
Il dialogo tra lo spettatore e l’opera non è terminato, esso continua attraverso la contemplazione della scultura dal punto di vista tecnico. Osserviamo il panneggio delle vesti della Vergine, l’ampio velo che ricopre il capo di Maria, e l’abilità con la quale l’artista è riuscito a mantenere il senso di morbidezza tra una piega e l’altra. Lo sguardo si volge quindi al corpo nudo, liscio e perfetto del Cristo, ottenuto mediante un successivo e prolungato lavoro di “lima” ed infine alla fascia che attraversa diagonalmente il busto della Vergine che reca la firma dell’artista: MICHEL.A[N]GELVS BONAROTVS FLORENT[INVS] FACIEBAT (traducibile in italiano corrente come “Lo fece il fiorentino Michelangelo Buonarroti”).
La Pietà vaticana fu l’unica opera che Michelangelo firmò; una leggenda narra che l’autore prese questa decisione dopo aver udito da alcuni milanesi dire che l’opera era stata realizzata da un artista lombardo: Cristoforo Solari, detto il Gobbo di Milano. Per il Buonarroti la tecnica scultorea voleva essere razionale ed esatta, al fine di rappresentare ragionevolmente la natura umana del Messia. Entrando in chiesa, i fedeli non dovevano cioè farsi abbindolare dalla piacevolezza fisica, o contemplare quel corpo di marmo come se fosse un idolo. Viceversa, il corpo nudo di Gesù doveva risultare attraente come l’amato nel Cantico dei cantici, una sorta di finestra aperta sul Dio invisibile.
È probabile, invero, che il cardinale Bilhères, nel commissionare l’opera, avesse a mente proprio il commento al Cantico dei cantici di Origene, dove riguardo alla bellezza si dice: “Perciò bello e avvenente è detto l’amato, e quanto più sarà osservato con occhi spirituali, tanto più bello e avvenente apparirà: infatti non soltanto appariranno meravigliosi il suo aspetto e la sua bellezza, ma anche a colui che lo guarda e lo osserva sopravverrà grande bellezza e aspetto nuovo e meraviglioso, secondo quanto dice l’apostolo che osserva la bellezza della parola di Dio: infatti se anche il nostro uomo esteriore si corrompe quello interiore si rinnova di giorno in giorno”.
Attraverso quest’opera, realizzata da Michelangelo appena ventiquattrenne, viene fuori tutto il talento innato dell’artista, che ha saputo materializzare abilmente un brano della Sacra Scrittura, infondendo credibilità e fede alle proprie figure.
Anche se il soggetto iconografico della Pietà è stato riprodotto da molti altri artisti, Michelangelo lo ha raffigurato in maniera inedita. Ciò che colpisce è la costante ricerca dell’equilibrio e la capacità di rendere concreta ed evidente l’idea che l’artista aveva in mente, al punto tale da realizzare opere che sembrano quasi umane.
Il 21 maggio del 1972 il grandissimo capolavoro di cui abbiamo parlato fu oggetto di un atto vandalico da parte di un uomo australiano. Dopo quell’atto, tutti i frammenti che giacevano a terra furono raccolti a terra con la massima scrupolosità al fine di attenuare il grandissimo danno. Ed è per tale ragione che attualmente possiamo contemplare la Pietà solo attraverso un cristallo antiproiettile.
Oggi, le migliaia di visitatori e pellegrini che affluiscono da ogni parte del mondo, dinanzi a questa grandissima opera d’arte non possono che restare profondamente affascinati, poiché tutto ciò che è bello ed intenso è destinato a durare in eterno.
Francesca Perna
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