visite guidate di Roma per privati e gruppi
Molte sono le vie che consentono di raggiungere una delle zone archeologiche più importanti del mondo, il Foro Romano. Ogni anno questa grandissima area archeologica registra ingressi record, suscitando l’interesse di moltissimi visitatori che provengono da qualsiasi parte del mondo.
Nell’area compresa tra il Campidoglio e il Palatino, due dei setti colli di Roma, sorge il Foro Romano. Inizialmente la zona era occupata da una palude, il Velabro, che fu successivamente bonificata dall’imperatore etrusco Tarquinio Prisco. Le acque furono così drenate nel Tevere tramite un collettore, la Cloaca Massima. Nel VII secolo a.C., nell’area furono realizzati alcuni edifici adibiti alla vita politica, giudiziaria, religiosa, commerciale e soprattutto sociale della città. Il Foro Romano si apprestava, dunque, ad essere il centro pulsante della città.
Per capire come era progettato un foro nell’antichità possiamo rifarci al libro V del De architectura, di Marco Vitruvio Pollione, architetto e scrittore romano. L’autore afferma che sotto i portici avrebbero dovuto trovare posto «le botteghe dei banchieri e al piano superiore dei terrazzini opportunamente disposti per l’uso e per facilitare le contribuzioni pubbliche». Le dimensioni del foro avrebbero dovuto essere «proporzionate alla popolazione» per evitare che fosse insufficiente o, al contrario, risultasse enorme in rapporto a un numero esiguo di abitanti. La larghezza avrebbe dovuto essere di «due terzi della lunghezza», con pianta rettangolare, di una forma cioè particolarmente adatta ai fini dello spettacolo. E ancora, le basiliche avrebbero dovuto sorgere «nelle aree più calde adiacenti ai fori», in modo che d’inverno i negoziatori potessero recarvisi senza risentire delle cattive condizioni metereologiche.
Nell’ultima fase della Repubblica, e precisamente nel I secolo a.C., l’area del Foro comprendeva imponenti basiliche (dove si svolgevano riunioni pubbliche), monumentali templi dedicati dal Senato agli imperatori divinizzati, statue e celebri rostri, ovvero tribune dalle quali i magistrati tenevano le orazioni. Nell’antica Roma, quindi, il Foro Romano e gli edifici non si presentavano così come li vediamo oggi, ma risultavano essere estremamente colorati. Era consuetudine, infatti, utilizzare marmi colorati, tra cui il porfido rosso, e in altri casi si procedeva direttamente alla colorazione delle statue. I colori, in questi casi, venivano applicati sulle vesti, sui dettagli della corazza, sui capelli e sui dettagli degli occhi, ma mai sulla pelle. L’effetto doveva essere estremamente sorprendente.
Successivamente, con la decadenza dell’impero romano nel IV secolo, l’area del Foro Romano fu interessata da una fase di forte declino. Fu infatti oggetto di frequenti spoliazioni, dove si prelevavano parti architettoniche degli edifici, dando così origine al fenomeno del reimpiego per la realizzazione di nuovi edifici. Nel XV secolo il Foro Romano fu quasi completamente interrato, divenendo così luogo di spazio verde adibito a pascolo di bovino; da qui, il nome Campo Vaccino.
All’interno del Foro sorge uno dei templi più importanti dell’antica Roma: il Tempio di Vesta. In esso era custodito il fuoco sacro che ardeva giorno e notte, sorvegliato costantemente dalle sacerdotesse, le Vestali. Mantenerlo acceso avrebbe assicurato coesione sociale.
Il culto di Vesta, radicato non solo a Roma ma anche nei più antichi luoghi religiosi del Lazio, prevedeva che la dea romana venisse venerata come divinità del fuoco e del focolare domestico ed identificata nella fiamma stessa.
Ma perché nell’antica Roma veniva data tanta importanza al fuoco? Questa tradizione, in realtà, affonda le proprie origini nelle usanze dei primi insediamenti romani presenti sul colle Palatino, quando le forme abitative erano costituite da semplici capanne. Al tempo, il fuoco veniva collocato dai romani nel cuore della casa, il cosiddetto “focolare domestico”, attorno al quale si riuniva la famiglia in venerazione e raccoglimento. Il padre di famiglia, capo della casa, era considerato il sacerdote di tale culto. Con il passare dei secoli, il culto del fuoco sacro si trasferì quindi in un piccolo tempio, di forma circolare, situato sulla Via Sacra. Si trattava, appunto, del Tempio di Vesta che insieme alla casa delle Vestali costituiva il complesso religioso dell’antica Roma.
Secondo la tradizione, il Tempio di Vesta rientra tra le più antiche costruzioni presenti nel Foro Romano, realizzato su volere del secondo re di Roma, Numa Pompilio. L’edificio, nel corso dei secoli, ha subito molteplici interventi di ricostruzione, a causa di numerosi incendi, tra cui quello del 241 a.C. a cui seguì quello del 210 a.C.. Il più devastante di tutti fu però quello del 64 d.C., verificatosi durante l’Età Flavia ed imputato storicamente all’imperatore Nerone. A questa catastrofe seguì poi, nel 191 d.C., un ulteriore incendio che interessò la struttura del Tempio.
I pochi resti visibili oggigiorno, sono attribuibili all’intervento di ricostruzione risalente alla fine del II secolo d.C., che avvenne per volontà dell’imperatrice Giulia Domna, consorte di Settimio Severo. Oggi possiamo ammirare parte dell’alto podio dal quale sporgono i piedistalli su cui si ergono alcune colonne corinzie – al tempo 20 – che formavano il colonnato del Tempio, che a sua volta circondava la cella cilindrica dotata di un’apertura centrale dalla quale usciva il fumo del fuoco sacro.
A Roma, secondo la tradizione, fu il re Numa Pompilio che introdusse il sacerdozio delle Vestali.
Il culto di Vesta dipendeva direttamente dal Pontifex Maximus e da queste sacerdotesse. Il Pontifex Maximus presiedeva il Collegio dei Pontefici, un organo istituito dal re Numa Pompilio che aveva potere assoluto e completo. Egli aveva inoltre il potere di infliggere alla Vestali delle punizioni qualora quest’ultime avessero violato il voto di castità, fino alla punizione estrema della sepoltura da vive. Sempre al Pontifex Maximus spettava la consacrazione delle fanciulle scelte fra il sesto e il decimo anno di età, selezionate all’interno delle migliori famiglie romane.
Ma chi erano le Vestali? Erano fanciulle giovanissime, di età compresa tra i sei o dieci anni, di nascita libera, con entrambi i genitori in vita e prive di imperfezioni fisiche.
La consacrazione delle sacerdotesse avveniva per mezzo di una cerimonia pubblica. La formula con la quale il Pontifex Maximus effettuava la captio (presa) della Vestale ci è stata tramandata direttamente da Aulo Gellio, scrittore e giurista romano del II secolo a.C.: «sacerdotem Vestalem quae sacra faciat, quae ius siet sacerdotem Vestalem facere, pro populo romano Quiritibus, uti optima lege fuit, ita te, Amata, capio». Letteralmente significa: ti prendo, Amata, perché tu compia i sacri riti che secondo le prescrizioni deve compiere una sacerdotessa Vestale, per il popolo romano dei Quiriti, sulla base di un’ottima legge, ovvero: in quanto sei risultata rispondente a tutte le condizioni richieste per l’ammissione al sacerdozio.
In occasione della cerimonia, le Vestali avrebbero giurato di prestare trent’anni di servizio, ripartito nel seguente modo: dieci anni da allieva, dieci da ministra del culto e dieci da maestra delle novizie. Durante questo periodo, vi era l’obbligo di osservare il voto di castità, moralità e cura nelle cerimonie sacre che si tenevano durante tutto l’anno. Una volta conclusosi il periodo di sacerdozio le Vestali potevano sposarsi.
Numerose sono le fonti che riportano notizie sull’abbigliamento delle Vestali e grande attenzione viene data alla loro acconciatura. Il giorno della consacrazione i capelli venivano tagliati corti e offerti alla dea romana Vesta, dopodiché venivano trattenuti da una sorta di cordone di lana, il tutto ricoperto da un bianco velo chiamato in latino suffibulum. Il suffibulum copriva il capo quasi interamente, lasciando scoperta la fronte, ed era trattenuto sul davanti da una spilla, la fibula. Questo era un vero e proprio gioiello, un medaglione tempestato di gemme appeso ad una collana altrettanto ricca, quale segno distintivo del sacerdozio.
Per quanto riguarda l’abito ufficiale delle Vestali, esse indossavano una lunga veste, stretta in vita da un cordoncino annodato coperta da un mantello, il pallium, il cui lembo ricadeva dall’avambraccio.
Le Vestali non vivevano in una situazione di clausura come si potrebbe pensare. Al contrario, si trattava di donne libere che prendevano parte ai più comuni momenti di svago di quei tempi, tra cui i giochi gladiatori. Ad esse erano riservate addirittura le prime file, godendo di un’ottima visuale. Erano assai impegnate in attività religiose, processioni e sacrifici. Le Vestali godevano inoltre di un ruolo sociale assai rilevante ed elevato; si muovevano precedute da un littore e in occasione delle cerimonie sacre si recavano alle stesse in vettura o in lettiga. Assai curioso è il fatto che, qualora avessero incontrato sul percorso un condannato a morte, la condanna di quest’ultimo sarebbe venuta meno.
Tutti questi privilegi sarebbero potuti venir meno nel caso in cui le Vestali avessero violato il voto di castità. Lo storico greco Plutarco ci ha lasciato una straziante descrizione del corteo funebre che accompagnava, sino alla tomba, la vestale colpevole. Sdraiata su una lettiga funebre e tenuta ferma da una serie di cinghie, la vergine, considerata impura, procedeva tra la folla. «La portano attraverso il Foro – precisa lo storico – e tutti si ritraggono in silenzio e l’accompagnano muti con una terribile costernazione. Non c’è spettacolo più agghiacciante, né giorno più lugubre per la Città». Nel sepolcro sotterraneo si trovavano una tavola imbandita, una fiaccola accesa, pane, acqua in un vaso, latte ed olio «come se – spiega Plutarco – si volesse allontanare da sé la colpa di far morir di fame un corpo consacrato ai riti più solenni». Terribile era la sorte di chi si congiungeva con una vestale: lo “stupratore”, condotto nel Comizio completamente nudo e con il collo poggiato su una forca, veniva frustato a morte dal Pontefice Massimo.
Francesca Perna
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